Il Segreto di Fontana di Trevi, Roma

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«Marcello… come here… Marcello…» recita Anita Ekberg rivolgendosi a Marcello Mastroianni, in una delle scene più famose del cinema di tutti i tempi (“La dolce vita” di Federico Fellini), come una Venere, l’attrice si bagna nell’acqua azzurrina della grande vasca della Fontana di Trevi a Roma.

Ma da dove vengono le acque della fontana più famosa del mondo?

Per capirlo dobbiamo scendere di 25 metri sottoterra attraverso una porticina poco distante dall’Accademia di Francia (a Villa Medici) quasi in corrispondenza della chiesa di Trinità dei Monti.

Una scala a chiocciola scende fra pareti in muratura e tufi al di là delle quali possiamo avvertire, a intervalli regolari, lo sferragliare attutito delle vetture della metropolitana poco distante.

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Al fondo, in quella che è stata interpretata come una piscina limaria, viene canalizzata un’acqua straordinariamente limpida, quella dell’acquedotto Vergine, uno dei più antichi del mondo, ancora perfettamente funzionante dopo duemila anni di storia.

Secondo la leggenda, le sorgenti dell’acquedotto, resosi necessario nonostante Roma avesse già una straordinaria disponibilità di 517.000 metri cubici di acqua al giorno, furono trovate grazie all’aiuto di una vergine, nel 19 a.C. e, poi, confinate e rese sicure da una diga, da cui aveva origine l’acquedotto stesso, nella zona di Salone, nei pressi del fiume Aniene.

Era un acquedotto particolare, non tanto per le volte alla cappuccina in tufo o per i frequenti pozzi di ispezione, ma perché scorreva quasi interamente sottoterra. Il percorso sotterraneo è suggestivamente illuminato da luci artificiali, si avverte il rumore dello scorrere della corrente dell’acqua, ma l’acqua non trascina alcun sedimento ed è talmente limpida da permettere di vedere, con la maschera, a diverse decine di metri di lontananza. Le pareti sono incrostate da veli e concrezioni di carbonato di calcio bianche: si tratta di acque «dure», come si dice, cioè ricche di sali, tanto che i Romani avevano costruito alcune vasche di decantazione per «alleggerirle» lungo il percorso. Dove non è rivestito, il fondo è spesso e sdrucciolevole.

All’aria aperta una serie di piccole basi piramidali e condotte artificiali ne segnano il percorso fin dentro la città, dove si riconoscono piccole porte d’accesso, tratti in sotterraneo, fontane e laghetti che segnano in superficie il passaggio nascosto dell’acqua.

Ingresso del condotto d'ispezione all'acquedotto dell'Acqua Vergine in via del Nazareno (ancora in funzione).
Ingresso del condotto d’ispezione all’acquedotto dell’Acqua Vergine in via del Nazareno (ancora in funzione).

Come tutti gli acquedotti romani, anche il Vergine subì l’aggressione dei barbari, fu spezzato e quasi dimenticato. Con esso andò perduta anche la memoria del periodo in cui gli acquedotti imperiali recavano a Roma fino a 14 metri cubici di acqua al secondo. Una quantità impressionante, anche se paragonata agli attuali 24 metri cubici.

Nel Rinascimento l’acquedotto venne restaurato, e, in tempi moderni, affiancato dall’Acqua Vergine Elevata, un altro acquedotto, quasi gemello.

Le condutture dei due acquedotti si riuniscono nella parte che scorre intubata, al termine della piscina limaria di Villa Medici, dove il percorso dell’acqua non può essere seguito, ma solo immaginato. Le grosse tubature di ghisa nere si incrociano in un piccolo edificio, e all’interno sono ancora dipinte a muro le antiche utenze che si approvvigionavano al Vergine, fino a qualche decennio fa.

Attraversando una piccola porta-finestra di questa centrale idrica è possibile scoprire l’ultima sorpresa dell’acquedotto, che è stato prima imperiale e poi papale: lo straordinario scenario architettonico di fontana di Trevi, ancora oggi alimentata dalle acque del Vergine.

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Costruita nel 1732, su progetto di Nicola Salvi, quella di Trevi non è solo una fontana, ma una specie di summa del rapporto fra la città di Roma e le sue fondamenta geologiche.

A parte il marmo apuano delle statue, la fontana è edificata in travertino, roccia tipica della campagna orientale romana, generata dall’attività vulcanica, e sorge dai sanpietrini di lava basaltica, tipici delle stradine del centro storico. Le acque sono quelle delle falde idriche dell’Appennino, che già alimentavano una precedente vasca, costruita da papa Niccolò V nel XV secolo. L’andamento del «trivio» di strade (da cui il nome Trevi), che ha per centro la fontana, riprende quello degli antichi tributari del fiume Tevere, come la vicina via del Tritone, un tempo un’antica valle fluviale.

Alla fontana di Trevi non ci sono sprechi: si tratta sempre degli stessi 120 litri al secondo di acqua continuamente riciclati, circa un quarto della portata complessiva che, ancora oggi, l’antico acquedotto può agevolmente reggere.

Uno spettacolo di acque che viene direttamente dalla tradizione dei Romani: secondo Plinio, nel I secolo a.C., Roma disponeva di 700 fontane versanti e 100 salienti, oltre a 130 castelli di distribuzione, spesso monumentali. Ai moderni restano l’eredità di quelle fontane e i 2300 «nasoni» (fontanelle pubbliche a getto perenne) che permettono a tutti di dissetarsi gratuitamente in ogni zona della città.

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Uno dei tipici “Nasoni” di Roma

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Pubblicato da Signorina Bloggy

Blogger Le mie passioni principali sono viaggiare, leggere libri e guardare film, la cosmesi, le fiere e tanto altro ancora.

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